Protocollo di Kyoto

CH4Si parla tanto del protocollo di Kyoto, come un pilastro di una nuova coscienza ecologica globale. Ma di cosa si tratta realmente?

L’accordo internazionale di cui stiamo parlando è stato sottoscritto l’11 dicembre 1997 nella città nipponica e rappresenta il momento in cui, a livello mondiale, si è presa piena coscienza del problema legato al riscaldamento climatico causato dalle attività umane.

Questo importante documento ha visto, con il passare degli anni, l’adesione di pressoché tutti i principali stati (con alcune esclusioni, come vedremo in seguito) e rappresenta la più grande presa di posizione a livello globale delle problematiche riguardanti l’ambiente.

Gli obiettivi del protocollo di Kyoto

Attraverso questo documento, i paesi che hanno sottoscritto le sue direttive, si impegnano a contenere le proprie emissioni inquinanti. Ogni paese, in base al livello di inquinamento, deve andare a ridurre una percentuale dello stesso.

Ogni nazione coinvolta dunque è tenuta a realizzare un proprio sistema per il monitoraggio delle emissioni dei gas che causano l’effetto serra. Questo viene aggiornato annualmente e prende anche nota delle misure adottate in considerazione per la relativa riduzione.

Quando parliamo di gas inquinanti, facciamo riferimento a una serie di sostanze nocive diverse come:

  • la CO2, ovvero l’anidride carbonica, emessa in quantità massicce dall’utilizzo dei combustibili fossili;
  • l’N2O, ovvero il protossido di azoto, legato prevalentemente alle lavorazioni delle industrie chimiche;
  • il CH4, ovvero il gas metano, legato alle discariche e allo smaltimento rifiuti;
  • gli HFC (idrocarburi), SF6 (esafluoruro di zolfo) PFC (perfluorocarburi) anch’essi legati a processi chimici.

Questi gas hanno, a seconda del caso, un peso specifico diverso riguardo la loro potenzialità inquinante. In base a ciò, il protocollo di Kyoto ha stabilito dunque direttive precise per una graduale riduzione delle emissioni.

Una particolarità che può sembrare banale è che i grandi allevamenti di bestiame hanno un impatto notevole nella produzione di gas, non tanto come le industrie, ma sicuramente importante.

Ad esempio i bovini espellono anidride carbonica, metano e protossido di azoto. La CO2 e il metano si formano a causa della fermentazione a livello intestinale e viene immesso nell’atmosfera, L’altro gas è rilasciato dal letame che non viene prontamente immagazzinato e lasciato all’aria aperta.

A sposare questo protocollo sono stati gradualmente un numero sempre maggiore di stati. Nel 2004 in tal senso, l’entrata di Russia e Canada, hanno rappresentato un enorme passo avanti in tal senso. Chiaramente, anche l’Italia rientra in questa sempre più vasta schiera di nazioni.

Vi sono poi alcuni paesi che non fanno ancora parte del protocollo di Kyoto. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno firmato l’accordo ma lo stesso non è stato ratificato. Il Kazakistan è in attesa di ratifica, mentre paesi come Turchia e Iraq non hanno ancora mostrato particolare interesse a tal proposito.

Attualmente i paesi aderenti sono 176 e rappresentano quasi il 64% delle emissioni globali dei suddetti gas. Dunque, i risultati sinora raggiunti dal protocollo possono considerarsi decisamente positivi.

Protocollo di Kyoto e Italia

Andiamo dunque ad esaminare nello specifico il comportamento del nostro paese rispetto al protocollo. Secondo l’accordo, all’Italia era stato assegnato l’obiettivo di ridurre del 6,5% le proprie emissioni entro il 2012.

Sotto questo punto di vista, si è intervenuti cercando di modificare la produzione di alcuni settori industriali con un forte impatto a livello climatico. Sono rientrati in questo ambito la produzione di cemento, di carta e di vetro, nonché l’intero settore siderurgico.

Nonostante un trend positivo però, va detto che l’Italia non è riuscita a raggiungere gli obiettivi che si era prefissata . Nel periodo di impegno, negli anni che vanno dal 2008 al 2012, la riduzione è stata pari al 4,6%.

Attualmente, le maggiori emissioni nel nostro paese sono causate dal settore trasporti. Queste infatti, costituiscono poco meno di un quarto dell’inquinamento totale. Le industrie legate al settore energetico e il trattamento dei rifiuti seguono per percentuale a ruota.

Va detto che, seppur l’impegno a livello ecologico deve essere continuo e migliorare costantemente per consentire un futuro adeguato alle nuove generazioni, l’Italia è una realtà di modeste dimensioni e poco influente.

Paesi come India e Cina, in forte fase di sviluppo, hanno un impatto enorme e una grande responsabilità rispetto all’inquinamento, tanto più che questi paesi non sono comunque tenuti dal protocollo a ridurre le proprie emissioni. Fino a quando non capiranno che il progresso può essere conseguito senza dover distruggere l’ambiente, magari con meno guadagno, resteremo con il rischio incombente di una catastrofe senza ritorno.

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